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Il disastro del Vajont nel ricordo dell’alpino Giovanni

9 ottobre 1963 - 9 ottobre 2020

L'alpino e nostro socio Giovanni Pittis, il 9 ottobre 1963 era militare presso la Caserma di Tai di Cadore.

La sera, la maggior parte degli alpini erano, in libera uscita; erano nei bar per vedere la partita Real Madrid-Glasgow Ranger.

 

Al rientro in caserma, tutti gli alpini sono stati allertati per "una perdita nella diga del Vajont"; salgono velocemente nei camion, stipati come sardine con destinazione Longarone.

La notte non agevola l'orientamento ma tutti i punti di riferimento sono saltati... il campanile, la stazione, il bar... non ci sono più.

Arrivano ordini precisi, non accendere sigarette (c'è un forte odore di gas); c'è un forte vento e un buio pesto. Si inizia a scavare con le mani e gli alpini riescono a salvare alcune persone intrappolate tra le macerie. Il ricordo va ad una ragazza "incastrata" in prossimità di un bar in mezzo ad un jukebox e ai dischi.

 

Con l'arrivo della luce mattutina, ci si rende conto di quanto è realmente accaduto. La massa d'acqua distrugge completamente Longarone; si salveranno solamente le abitazioni in alto, alcune delle quali sono state tagliate dall'onda d’urto con precisione chirurgica.

 

Gli alpini in armi, assieme ai pompieri (e poi anche altre armi dell’esercito) lavoreranno per oltre 20 giorni per aiutare la popolazione cadorina. 

I corpi sono irriconoscibili. La forza d'urto dell'acqua ha completamente spogliato le persone che erano all'esterno. L'acqua ha gonfiato e irrigidito i corpi di questi poveri cristi. Più il tempo passa e più difficile è il recupero, sia per l'avanzato stato di decomposizione che per l'odore nauseabondo (stesso odore che Giovanni "sente" nella Caserma Goi Pantanali a Gemona caduta a causa del terremoto in Friuli del 1976).

 

I nostri alpini recuperano le salme, le puliscono (c'erano squadre dedicate a questa mansione) e, dopo averle adagiate nei sacchi, vengono inserite nella bare. L'immagine delle bare allineate è un colpo al cuore.

 

Emozioni differenti e contrastanti caratterizzano il racconto di Giovanni...

 

"dopo parecchi giorni, vedo un sacchetto appeso ad un ramo sul fiume Piave, curioso mi avvicino e vedo la mano di un bimbo"

Gli occhi di Giovanni si fanno lucidi, e anche di chi scrive, e il conseguente silenzio ci fa capire il sentimento provato da un giovane di 21 anni e il ricordo ancora vivo dopo 57 anni.

 

"ecco, questa è la foto della campana della chiesa completamente distrutta che ho trovato tra le macerie e che sarà poi risistemata nella nuova chiesa che abbiamo visitato in occasione del 50° anniversario".

 

"prima del 9 ottobre, la gente parlava e sapeva... la preoccupazione era crescente" ma nessuno ha voluto ascoltare "i vecchi saggi".

 

"Oggi posso documentare il tutto grazie alle foto.. le ho scattate con la mia macchina fotografica che avevo sempre nella mimetica"


Il disastro del Vajont è stato un disastro verificatosi la sera del 9 ottobre 1963, nel neo-bacino idroelettrico artificiale del torrente Vajont nell'omonima valle (al confine tra Friuli e Veneto), dovuto alla caduta di una frana (260 milioni di mc) dal soprastante pendio del Monte Toc nelle acque del bacino alpino realizzato con l'omonima diga; la conseguente tracimazione dell'acqua contenuta nell'invaso, con effetto di dilavamento delle sponde del lago, coinvolse prima Erto e Casso, paesi vicini alla riva del lago dopo la costruzione della diga, mentre il superamento della diga da parte dell'onda generata provocò l'inondazione e la distruzione degli abitati del fondovalle veneto, tra cui Longarone, e la morte di 1917 persone.

 

In occasione della gita che il nostro Gruppo ANA ha organizzato nel 2013 nei luoghi del disastro, il nostro Giovanni ha deposto un mazzo di fiori nel cimitero monumentale delle vittime del Vajont a Longarone.


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