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Grazia Zanin, di volo in volo

Proponiamo l'intervista completa che Grazia Zanin ha rilasciato per Fruzons di Plume.


Da        Maria Fanin                                                                                                     10 mag 2020, 18:22

A          Grazia Zanin

Carissima Grazia, da tempo conservo un piccolo spazio " Alla scoperta di..." sul foglio trimestrale del gruppo Alpini di San Giorgio di Nogaro di cui mio figlio Davide è Capogruppo. Presento in quelle righe un personaggio del paese che assume contorni inusuali eppure è poco conosciuto in loco. Potresti essere anche tu in uno di quei ritratti?

Di solito l'intervista si svolge con un incontro, ma forse noi non ne abbiamo bisogno, visto che siamo tenacemente in collegamento attraverso le nostre mail.

Si tratterebbe di rispondere ad alcune domande di presentazione, del tipo "Chi sei, dove vivi? Che cosa fai ora? Che cosa facevi prima? Che cosa ti ha spinto a scegliere? Quali sono stati i passaggi più importanti della tua vicenda personale? I tuoi progetti, i tuoi desideri, i tuoi valori?" con ogni altra informazione che ritieni importante corredata da qualche fotografia indicativa.

Attendo la tua risposta, un caro saluto a Max e a Ivan, con tanto affetto,

 

Maria


Da        Grazia Zanin                                                                                                   11 mag 2020, 07:39

A          Maria Fanin

Carissima Maria,

Mi lusinga e mi fa molto piacere la tua richiesta, specialmente per il fatto che mio padre era un alpino ancor prima della guerra, poi naturalmente durante la guerra e nell'animo per il resto della sua vita. Ho sempre provato molto affetto per gli alpini. Mi ricordano mio padre, le montagne, il Friuli, i cori e le profonde emozioni vissute durante gli incontri di mio padre con i suoi vecchi amici, i loro canti e le loro storie, sia quelle tragiche che quelle allegre di cameratismo. Complimenti a Davide per la passione e per la responsabilità assunta. So che gli alpini sono sempre molto attivi e presenti nelle comunità. Se tu pensi che gli alpini sangiorgini possano essere interessati alle storie strampalate di una loro compaesana vagabonda ("zingara" come diceva mia madre), ma con il cuore ancora appeso alle montagne friulane, allora... perché no?  

Ora mi trovo a Waco, per una settimana di lavori di manutenzione per cui non ho portato il computer con me, ma se non hai fretta, si potrebbe provare per la prossima settimana. Dicevi un piccolo spazio, per cui immagino domande e risposte molto coincise. Fammi sapere... qualsiasi connessione con gli alpini sarebbe un grande onore!

Un abbraccione a te e famiglia,

 

Grazia


Chi sei?

Sono Grazia Zanin, Friulana di San Giorgio di Nogaro.

Dove vivi?

Vivo in Texas. Da dodici anni, a sud di Houston, vicino alla NASA, dopo aver vissuto per vent’anni a Waco e prima ancora per circa sei anni a Fort Worth, nell’area metropolitana di Dallas.  

Perchè in Texas?

Nel 1980, avevo attraversato l’oceano Atlantico, imbarcata come equipaggio su una barca a vela di proprietari svizzeri. Era il mio secondo impiego da marinaia, dopo aver ottenuto la patente nautica a 18 anni e aver concluso alcuni corsi di vela alla scuola velica di Caprera e dei Glenans in Irlanda. La mia intenzione era quella di girare un po’ il mondo come avevo sempre desiderato fare fin da piccola. La barca era stata la scelta più logica e pratica per vedere il mondo lavorando.

Dopo la traversata atlantica e una stagione di charter ai Caraibi, era mia intenzione continuare a veleggiare verso il Pacifico. Avevo così trovato un imbarco per la Micronesia e Samoa su una barca svedese impegnata in un giro del mondo. Nel frattempo però, navigando, mi ero messa in comunicazione con un amico in procinto di partire per il Texas per conseguire un brevetto di volo su aereo. Avevo così scoperto, con grande gioia, di aver risparmiato abbastanza dollari per potermi  iscrivere anch’io a un corso di volo per ottenere il brevetto di primo grado. Imparare a volare era sempre stato un mio grande desiderio! Mia madre diceva che  da piccolissima le avevo raccontato il mio primo sogno, dove volavo come un uccello. Sogno ricorrente, che era rimasto tale e considerato quasi irrealizzabile, visti i costi proibitivi delle scuole di volo in Italia. Avevo già fatto il possibile per andare in aria, alcuni lanci con il paracadute e svolacchiato un po’ con il deltaplano, ma l’aereo era rimasto sempre e solo un sogno.

 

Ero quindi arrivata a Fort Worth, Texas, nell’estate del 1981 con tanto entusiasmo, i dollari contati per pagarmi la scuola di volo e vitto e alloggio per uno o due mesi. Il programma era quello di ottenere il brevetto e poi ripartire per incontrare a Panama la barca svedese e riprendere la navigazione per raggiungere la Micronesia e Samoa. Invece, dopo due mesi ero ancora lì… il volo mi aveva appassionato e il mio istruttore mi aveva incoraggiata a continuare i corsi per ottenere i brevetti commerciale, strumentale e da istruttore. Dopo tutto non ero ancora “troppo vecchia” come mi dicevano in Italia, per diventare pilota commerciale. Così restai e realizzai il mio sogno… diventai un pilota!

 

Periodicamente, negli anni successivi tornai in Italia per continuare gli studi di geologia all’Università di Trieste, feci per un po’ di anni la pendolare… un po’ di esami alternati a un po’ di volo in USA. Nella primavera del 1987 rientrai in Friuli per aprire una scuola di volo su aerei ultraleggeri con un amico pilota di Aiello e con il proposito di completare gli studi a Trieste. Il mio piano poi era di far ritorno negli USA per iscrivermi ad un corso master in Scienze ambientali e volare da pilota volontario per l’organizzazione ambientalista Greenpeace. Avevo anche un’altra opportunità… Le linee aeree americane avevano iniziato un reclutamento massiccio di minoranze e donne per mettersi in linea con la legge sulla pari opportunità d’impiego, e la scuola di volo dove lavoravo mi aveva incoraggiata a fare domanda. Un impiego con le linee aeree mi avrebbe lasciato abbastanza tempo libero per continuare gli studi e magari anche per il volontariato con la Greenpeace. Ma ancora una volta i miei piani non andarono come previsto…

  

Nel settembre di quell’anno, i proprietari della fabbrica di ultraleggeri sui quali insegnavo a volare, per pubblicizzare l’aereo mi chiesero di portare uno dei loro velivoli a Torviscosa a una “festa della soia”, organizzata dal gruppo Ferruzzi per ringraziare i coltivatori locali, che si teneva all’Agenzia numero 5, nella campagna di Torviscosa, in concomitanza con importanti incontri e conferenze tra politici e agricoltori.

Non dimenticherò mai l’atmosfera surreale di quel mattino all’atterraggio sulla pista d’erba dell’Agenzia n.5. Una nebbiolina illuminata dal sole si alzava dai campi lasciando trasparire una moltitudine di colori vivacissimi… sembravano enormi fiori che sbocciavano dai campi sotto la nebbia. Una visione fantastica! Ben presto vidi che erano mongolfiere che si stavano gonfiando. Appena atterrata, con grande entusiasmo corsi a trattenere le cime di una mongolfiera per favorirne il decollo e mi fu riferito che stavano partecipando a una caccia al tesoro, parte degli eventi organizzati per la giornata di festa. Subito dopo, accanto alla pista, vidi l’aereo biplano acrobatico a etanolo coperto da un telo con un grande cartello che diceva “non toccare l’aereo, toccare il pilota.” Tra gli eventi della giornata, era prevista la manifestazione aerea di un pilota acrobatico americano con un biplano che utilizzava alcool (etanolo) invece di benzina avio. Fu lì, accanto all’aereo, che un giornalista-pilota che avevo conosciuto ai tempi dei miei lanci con il paracadute, mi chiese di fargli da interprete per un’intervista con il pilota acrobatico americano. E fu così che incontrai Max Shauck.

Da subito lo classificai “tipico pilota acrobatico arrogante” visto che ne avevo conosciuti molti negli USA in giro per aeroporti e airshows, ma dovetti ammettere che questo era invece simpatico, con la battuta pronta e facile al sorriso! Fu una giornata per me di voli continui, con solo una pausa a terra durante la manifestazione aerea acrobatica del biplano ad etanolo che era stata spettacolare. Nel tardo pomeriggio, pensando di aver finito i miei voli, il “pazzo pilota americano”, cosi definito dal pubblico e dall’annunciatore della manifestazione dopo il suo volo, mi si schierò davanti senza esitazione: “Ho visto che hai portato in volo mezzo mondo oggi, ora tocca a me!”. Era ormai quasi il tramonto e la nebbiolina stava ricomparendo. Ma non potevo dire di no al grande pilota… E così in fretta e furia lo portai in volo sulla laguna, tra le isole di Porto Buso e Sant’Andrea fino al mare da dove a malapena, a causa della cattiva visibilità si vedevano Grado e Lignano. Ogni tanto il pazzo pilota americano, lanciandomi sguardi tra il preoccupato e il curioso, mi chiedeva “Ma lo sai dove siamo e dove stiamo andando?” Visto che la visibilità si stava rapidamente deteriorando, al ritorno volammo bassi sopra le barche a vela che rientravano in laguna con spinnaker coloratissimi gonfiati dal vento. Conoscendo il canale, grazie alle precedenti esperienze nautiche locali, seguii briccole e riferimenti a terra rassicurando gli sguardi sempre più ansiosi del mio passeggero. In linea d’arrivo sulla pista, lui mi chiese di lasciargli i comandi per provare un atterraggio con quello strano velivolo ultra leggero sul quale lui non aveva mai volato prima. Questo esperto pilota di caccia e di aerei acrobatici, evidentemente non era abituato alla immediata assenza d’inerzia allo stacco del motore… così all’ultimo momento, per evitare uno stallo e un inevitabile e imbarazzante schianto a terra, avevo dovuto riprendere io i comandi, dare motore e abortire l’atterraggio. In quell’attimo di apprensione, subito seguito da un sorriso e una risata, ci scambiammo tra i caschi uno sguardo furtivo… Da quel giorno in poi il pazzo pilota americano ed io non ci lasciammo più!

Scoprimmo subito di aver coltivato le stesse passioni, non solo il volo ma anche tante altre come per esempio le letture, dal Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry ai romanzi di Fëdor Dostoevskij che tutti e due avevamo amato. Max mi chiese dopo pochi giorni se volevo essere il suo co-pilota per il volo transatlantico ad etanolo che stava programmando con la sponsorizzazione della Siae Marchetti e di Roul Gardini che era a capo della Ferruzzi. Io accettai subito con entusiasmo ma c’era un problema… il genero di Raul Gardini, Giuseppe Cipriani, aveva già chiesto a Max se poteva essere lui il suo co-pilota per quel volo e lui aveva acconsentito. Max comunque non sembrò preoccuparsi… Capii da quel giorno che non c’erano sfumature nelle sue decisioni… per Max c’era solo bianco o nero. Io sarei stata la sua co-pilota, “questione di sicurezza!” Giuseppe Cipriani era un bravo pilota di auto da corsa ma non era ancora un affidabile pilota d’aereo. Glielo avrebbe comunicato lui. Discussione finita!

Dopo vicissitudini varie e mesi frenetici di lavoro, Max ricevette una lettera da Raul Gardini: la Comunità Europea aveva deciso di non votare sulla legislazione che avrebbe promosso l’utilizzo dei surplus di cereali per la produzione di etanolo. La lettera lo informava che la sua Compagnia era costretta a mantenere un profilo basso e quindi a interrompere la sponsorizzazione del volo.

Tutto cambiò da quel momento. Cercammo altri sponsors negli Stati Uniti ma era un momento difficile, tutti i potenziali finanziatori ci chiesero di aspettare tempi migliori. Max, che era professore di matematica all’Università di Baylor, aveva preso un anno di aspettativa per preparare il volo record. Avevamo ormai investito troppo tempo, risorse e sogni per rinunciare a intraprendere questo volo. Decidemmo insieme, senza un attimo di esitazione, di ottenere un prestito in banca, trovare un aereo adatto e continuare nel nostro proposito. E così fu. Ma non fu facile…

Per raccontare del volo ci vorrebbe un libro. In breve, attraversammo l’Atlantico e tutto alla fine andò bene anche se i nostri atterraggi, nel mezzo dell’Atlantico e in Europa, coincisero con eventi che assorbirono tutta l’attenzione dei mass media, tipo la caduta del muro di Berlino e la rivoluzione in Romania. Max aveva sempre ribadito l’importanza del tempismo nell’effettuare gli atterraggi durante periodi di quiete mediatica…Ironia della sorte! Il volo rappresentò in ogni caso una tappa importante nella storia dell’aviazione come primo volo transatlantico compiuto con un carburante non fossile ma biologico, rinnovabile e sostenibile.

Negli Stati Uniti intanto si stava discutendo la legislazione per l’introduzione di percentuali di biocarburanti nella benzina per le auto. Al ritorno dell’aereo in USA, ci fu chiesto di esporlo per un paio di giorni davanti al Capitol a Washington durante i dibattiti per l’approvazione del “Clean Air Act” (Decreto Aria Pulita) che prevedeva l’uso di carburanti ossigenati, in particolare etanolo, nella benzina per le auto. Un gruppo di Marines americani ci aiutò a trasportare l’aereo dal porto di Baltimore, dove arrivò via mare, e ad assemblarlo davanti al Capitol. Durante le pause tra I dibattiti del “Clean Air Act” ricevemmo le visite di decine di senatori che uscirono a vedere l’aereo e a farci domande sia tecniche che generali e personali sul volo. Max era già ben conosciuto da alcuni di loro, che lo avevano sostenuto in precedenti progetti e voli record e lo avevano anche citato come “un vero eroe americano!” nei documenti preparatori all’approvazione della legislazione. Quell’evento fu importante per la divulgazione di informazioni sulla praticabilità dell’uso dell’etanolo come carburante, che fino a quel momento era al centro di controversie e disinformazioni, divulgate in particolare dalla lobby del petrolio.

 

Mi madre diceva sempre “cerca di anticiparti” e quella era diventata una mia regola di vita. E così, mentre ci stavamo preparando per il volo transatlantico, avevo pensato a quello che avrei fatto dopo il volo. Durante l’anno e mezzo di preparazione, avevo imparato tantissimo, in particolare sull’etanolo come carburante ma anche in generale sui biocarburanti alternativi. La sostenibilità ambientale era sempre stato un tema che mi aveva coinvolto. Max mi aveva insegnato anche molto sugli aerei. Insieme avevamo lavorato alle modifiche necessarie sia al motore che alla fusoliera dell’aereo e così avevo scoperto un’altra mia passione, la meccanica. Visto che non avevo ancora completato gli studi in Italia avevamo deciso che li avrei completati al ritorno all’Università di Baylor. Volevo però avere la certezza di un impiego. Una volta rientrati avremmo dovuto iniziare i pagamenti del debito alla banca.

Insieme ad un amico di Max, pilota e ricercatore in un laboratorio di San Antonio in Texas, che tra l’altro era stato il co-pilota di Max durante un primo tentativo fallito del volo transatlantico, scrissi la mia prima proposta di ricerca. La mia parte prevedeva un programma di educazione/dimostrazione sulla praticabilità dell’etanolo come carburante per l’aviazione. La sua si concentrava sugli aspetti chimici e tecnici dell’etanolo come carburante. Insieme la inoltrammo al Dipartimento Americano dell’Energia a Washington.

 

Dopo il successo del volo transatlantico, al ritorno in USA, ricevemmo la buona notizia che la proposta di ricerca era stata accettata, purtroppo solo la mia parte di divulgazione e dimostrazione e non quella tecnica proposta dal nostro amico. In ogni caso, quel programma rappresentò per me l’opportunità di entrare nel mondo accademico e iniziare una carriera di ricercatrice all’Università di Baylor.

 

L’anno seguente al volo ci recammo a Washington, alla Casa Bianca, per ricevere il Trofeo “Harmon”, un riconoscimento tra i più prestigiosi nel campo dell’aviazione, conferito a Max per il successo del volo transatlantico (quello per le aviatrici non si riuscì a trovarlo in tempo, sepolto in qualche archivio del museo Smithsonian dopo un’opera di restauro). Il Presidente George Bush Sr. aveva avuto un problema di salute pochi giorni prima della cerimonia per cui il Vicepresidente di allora, Dan Quayle, consegnò il riconoscimento durante una cerimonia molto formale. Fu una giornata piena di eventi e visite a politici, media, rappresentanti di organizzazioni ambientaliste e organizzazioni interessate alla promozione dei carburanti sostenibili, con un pranzo al prestigioso National Press Club e una cena alla base militare Fort Myer con la partecipazione non solo di politici e dignitari ma anche di amici e parenti. Una giornata memorabile!

 

Dopo il successo del primo programma educativo e di ricerca, incominciai a proporne altri, sia ad Agenzie governative che a organizzazioni no-profit e industrie private. Molti vennero accettati e i nostri fondi di ricerca aumentarono rapidamente nonostante mancasse a quel punto una struttura formale per gestire I nostri programmi. Max aveva ripreso ad insegnare alla Facoltà di Matematica ed io mi ero sistemata precariamente in un ufficio dell’Istituto di Scienze Ambientali dove contemporaneamente seguivo anche corsi di studio. Non era la situazione ideale. Decidemmo allora di creare un Centro di ricerca virtuale, con nome, obiettivo e struttura. Io produssi una semplice dichiarazione d’intenti e un depliant pieghevole informativo che stampai e distribuii ai nostri contatti e durante i nostri workshop e conferenze. Funzionò e il Centro in breve tempo ebbe successo così che l’Università praticamente lo accettò come “fait accompli”.

 

Poco più di un anno dopo il nostro ritorno dal volo, prendemmo un accordo con il Presidente dell’ Università di Baylor, per aprire una nuova facoltà accademica “Scienze dell’Aviazione” con annesso il nostro Centro di ricerca che ormai era stato a tutti gli effetti formalizzato grazie al successo dei programmi intrapresi. Iniziammo con 4 studenti e praticamente nessun impegno finanziario dell’Università. Max era il “Chairman” (Preside) della facoltà e io ricevetti il titolo di Direttore della ricerca. A Max però non piaceva il lavoro d’ufficio e di amministrazione e neppure gli piacevano gli incontri periodici richiesti dalla burocrazia universitaria e scrivere proposte o fare relazioni periodiche e finali. A me a dire il vero neppure, ma mi dovetti adeguare… Lui era felice quando insegnava e quando volava, le sue passioni! E naturalmente eccelleva in entrambe! All’inizio non avevamo neppure una segretaria, ma nel giro di pochi anni riuscimmo ad avere segretaria e manager d’ufficio, visto che i nostri studenti da 4 aumentarono a 120, e ottenemmo una moltitudine di programmi di ricerca il cui budget superava quello di tutte le altre facoltà e programmi di ricerca dell’Università messi insieme.

 

Nel 1992, esattamente cinque anni dopo il nostro incontro, nacque il nostro bimbo, Ivan Sebastian, che ci portò tanta felicità e naturalmente un cambiamento di vita. Parcheggiammo la nostra roulotte, dove avevamo vissuto fino al quel momento, e comperammo una casa. Nel frattempo, io avevo completato il ciclo di studi alla facoltà di Scienze ambientali e di Scienze della terra e anche se super impegnata, non avevo abbandonato il mio obbiettivo di completare un master per specializzarmi in questo campo, per cui continuavo a frequentare corsi alla facoltà di Scienze Ambientali.

 

Il nostro Centro divenne il punto focale della ricerca sui carburanti alternativi per l’aviazione. A quel tempo, l’unico al mondo. Iniziammo con la Federazione Americana dell’Aviazione programmi di certificazione di motori e aerei carburati a etanolo. Questi programmi comportarono lunghissime e complicate prassi burocratiche in parallelo a tests e analisi di dati su banchi di prova e in volo. Non fu semplice, ma riuscimmo a certificare la prima serie di motori al mondo a etanolo seguita dalla certificazione di un aereo completo. Anni dopo seguì la certificazione di una seconda serie di motori e di un altro modello di aereo.

 

Decidemmo di allargare la nostra ricerca per includere carburanti alternativi per motori a turbine, i cosiddetti motori jet, visto che allora nessuno ancora era interessato a questo campo di ricerca. Inoltre, Max aveva in passato completato un post-dottorato di bio matematica, specializzandosi nei modelli matematici di trasporto e diffusione dei gas inquinanti. Aveva utilizzato aerei per monitorare la qualità dell’aria e raccogliere dati per corroborare e validare i modelli matematici. Io ero molto interessata a questo campo di ricerca ma Max era restio a lasciarsi coinvolgere di nuovo perché essa richiedeva un enorme impegno di tempo e risorse. C’erano procedure da rispettare e certificazioni da ottenere per l’istallazione degli strumenti sull’aereo, e poi c’erano le continue calibrazioni di tutti gli strumenti, da svolgere prima di ogni volo, e che a volte duravano per tutta una notte. Io ricordai a Max che a quel punto avevamo un’enorme risorsa nei nostri studenti e che, aggiungendo questa specialità, avremmo potuto creare un nuovo campo di ricerca sempre connesso con l’aviazione e l’ambiente.

 

Come al solito, ci vuole anche un po’ d’immaginazione e tanta fortuna per riuscire a realizzare nuovi progetti. Max si era lasciato convincere e così ci eravamo presentati ad un incontro all’Agenzia della Protezione Ambientale ad Austin, la capitale del Texas, dove si discuteva la nuova strategia per il monitoraggio della qualità dell’aria nello stato. Molti dei partecipanti ricordavano le precedenti campagne di monitoraggio di Max, eseguite con aerei anni prima. Noi chiedemmo semplicemente se ci fosse interesse ad utilizzare un aereo per determinare livelli e trasporto di inquinanti. Tutti risposero “altro che” e “magari!” Un nostro vicino ci aveva imprestato il suo aereo jet che avevamo portato quel mattino a Austin lasciandolo all’aeroporto vicino. Durante la pausa pranzo, invitammo i capi dell’Agenzia a fare un volo sopra Austin per dimostrare possibilità e capacità dell’aereo. Ne furono entusiasti, ma il problema grosso era quello di trovare i fondi necessari per acquisire aereo e strumenti. Tuttavia, il primo passo, lo stimolo d’interesse, era stato fatto e noi ci mettemmo al lavoro. Preparai una proposta e un budget basato sul tipo di aereo utilizzato, con il quale avremmo potuto realizzare sia il programma di monitoraggio atmosferico sia quello di ricerca sui carburanti alternativi per i motori jet e quindi per l’aviazione commerciale.

 

Attraverso conoscenze e contatti riuscimmo ad ottenere un incontro con il Vice-Governatore del Texas (il Governatore a quel tempo era George Bush), che a tutti gli effetti aveva il potere assoluto sul budget dello Stato, per presentargli la nostra idea. La proposta evidenziava i benefici derivanti dall’utilizzo di questo aereo per lo Stato del Texas, sia dal punto di vista ambientale che da quello legislativo, e le prospettive economiche future. Il vice governatore ne capì subito l’utilità e dopo una telefonata all’Agenzia dell’Ambiente per validare le nostre asserzioni sulla necessità di quanto proposto, aveva semplicemente chiesto “Quanto costa?”. Aveva poi aggiunto un quarto in più di quanto noi avevamo stimato, e con una sola autorevole telefonata aveva permesso la realizzazione del nostro progetto.

 

Max ad io ci mettemmo all’opera, trovammo in Canada l’aereo ideale, che fu pronto dopo mesi di lavoro per modificarlo, attrezzarlo e strumentarlo e che offrì importanti opportunità di ricerca. Fu utilizzato per il monitoraggio atmosferico durante le stagioni primaverili ed estive, e come banco di prova per il primo progetto al mondo di ricerca sui biocarburanti per l’aviazione commerciale. Seguirono altri aerei strumentati per lo stesso scopo, e altri banchi di prova a terra per analizzare le emissioni di biocarburanti sia di motori a pistoni che turbine. L’analisi della qualità dell’aria ci offrì l’opportunità di proporre e completare progetti non solo negli Stati Uniti ma anche in Canada e nell’ America Centrale.

 

Questo fu un periodo di attività frenetica, con molti progetti da gestire contemporaneamente, che mi costrinsero sempre più spesso a lasciare il lavoro sul campo per amministrare budget, personale, relazioni e articoli scientifici da preparare e scadenze da rispettare. I nostri programmi ci portavano continuamente in giro per gli Stati Uniti e anche, sempre più spesso, in giro per il mondo per conferenze e incontri. Io che avevo sempre desiderato viaggiare ero felice di vivere praticamente con la valigia sempre pronta, ma purtroppo passavo troppo tempo davanti a un computer su aerei e hotels, invece di esplorare paesi e culture come avrei voluto. Durante i viaggi cercavamo, al limite del possibile, di estendere di qualche giorno le nostre visite e di approfondire relazioni con nuovi collaboratori, ma immancabilmente ero costretta a lasciare quei luoghi con in bocca solo il sapore di altri mondi e culture e in testa il desiderio di tornare.

Il nostro primo viaggio in Brasile per un programma educativo e di dimostrazione (1988)
Il nostro primo viaggio in Brasile per un programma educativo e di dimostrazione (1988)

Lavorammo per lunghi periodi di tempo in Brasile, per trasferire la certificazione ad etanolo di un modello di aereo utilizzato per lo spray agricolo che avevamo certificato negli Stati Uniti e che era molto comune in Brasile. Avevamo già avuto modo in precedenza di presentare in Brasile programmi dimostrativi ed educativi, ma questo ci offrì l’opportunità di passare più tempo nel paese e di conoscerne meglio gente e cultura. Vendemmo a un’organizzazione brasiliana l’aereo per lo spray agricolo che avevamo certificato a etanolo e iniziammo una collaborazione per validare la certificazione con le autorità aeronautiche brasiliane. Con una serie di workshops e conferenze riuscimmo nel nostro intento di divulgare la tecnologia relativa alle modifiche necessarie a motori e fusoliere. Purtroppo, come accade spesso in questi paesi, i piloti brasiliani non attesero la certificazione ufficiale dalle autorità, ma corsero a modificare in massa i loro aerei per lo spray agricolo. La motivazione economica era evidente, considerando che l’etanolo in Brasile si trovava ovunque e costava meno della metà del carburante per l’aviazione… Il risultato fu caotico! Ma questa è una lunga storia…

Il programma procedeva bene e organizzammo con successo alla nostra Università due Conferenze Internazionali sui carburanti alternativi per l’aviazione, che ci offrirono l’opportunità di invitare relatori di fama mondiale coinvolti nel temi che più ci stavano a cuore, la sostenibilità ambientale e l’aviazione. Alcuni erano personaggi che avevano contribuito immensamente al progresso scientifico in questi campi, come lo scienziato inventore Paul Mac Cready e l’astronauta Gordon Cooper, per nominarne solo due. Le conferenze riuscirono nell’intento di stimolare dibattiti e discussioni sui temi trattati  promovendo nuovi concetti, idee e programmi di ricerca  sia negli Stati Uniti che all’estero.

 

Nel 2000, dopo alcuni mesi di pausa sabbatica spesi a lavorare in Italia, proponemmo all’amministrazione dell’Università di trasformare la nostra facoltà di Scienze dell’Aviazione in un “Istituto di Scienze dell’Aviazione”. Il programma accademico si era evoluto in quello che noi avevamo chiamato il “Scientist-Pilot Program”, visto che avevamo aggiunto al programma esistente numerosi corsi accademici relativi alle nostre ricerche. Molti dei nostri studenti erano coinvolti e alcuni, alla fine dei 4 anni del corso di laurea, invece di cercare impiego come piloti, rimanevano all’Università con noi come ricercatori. La transizione ad Istituto ci garantiva maggior indipendenza sia di curriculum accademico, che di ricerca e di budget. L’Università approvò la nostra richiesta nel 2001, anno in cui Max ricevette un grande onore dalla Federazione dell’Aviazione Americana (FAA) il “2001 Excellence in Aviation Award” (premio individuale federale 2001 per l’Eccellenza in Aviazione).

Per noi, l’aspetto più importante della fondazione dell’Istituto risultò essere la creazione di un comitato di consiglieri, che nominammo noi e che l’Università approvò, per assisterci e coadiuvarci nelle future scelte e direzioni dell’Istituto. Durante gli anni precedenti avevamo conosciuto e collaborato con prestigiosi scienziati ed esperti mondiali sia nell’ambito dell’aviazione che della sostenibilità ambientale.  Fu un vero piacere per noi compilare la lista del nostro comitato consultivo ideale, comunicare con ognuno di loro per spiegare la nostra richiesta, e fu un enorme onore ricevere il loro consenso all’unisono.

 

Alla fine del processo di scelta e approvazione, ci ritrovammo con 10 consiglieri, 4 Americani e 6 di altri paesi. Un comitato consultivo da sogno! Il nostro budget ci consentiva di convocarli una volta all’anno per un incontro personale, ma la collaborazione tra noi divenne molto più frequente e assidua grazie alla crescente disponibilità di accesso internet e telefonico. L’inaugurazione avvenne a Baylor e comportò eventi ufficiali organizzati in collaborazione con la gerarchia universitaria e i consiglieri interni d’istituto durante due giornate intense e memorabili. L’amministrazione considerava il nostro comitato come un fiore all’occhiello, ulteriore prestigio per l’Università, specialmente nel settore ricerca, che era ancora agli albori in una Istituzione tradizionalmente di insegnamento accademico più che di ricerca.

Una volta conclusa l’ufficialità, tenemmo il primo incontro con i nostri consiglieri. Avevamo già instaurato rapporti professionali e personali con ognuno di loro, ma vedere come si formarono da subito sinergie e legami tra tutti e assistere all’entusiasmo su idee e suggerimenti proposti, fu per noi semplicemente strabiliante. Alla fine di quell’incontro, io commentai che sarebbe stato uno spreco non condividere tutta quella conoscenza e quel talento con studenti, professionisti o interlocutori interessati agli stessi temi, e chiesi al nostro Comitato di abbinare una conferenza annuale al nostro incontro. Tutti approvarono l’idea con l’unica clausola che avrei dovuto assumere io la responsabilità dell’organizzazione. Naturalmente accettai con entusiasmo e senza esitazioni! Questo fu l’inizio di una nuova fase della nostra carriera accademica e professionale, per me la più gratificante, sia a livello scientifico che umano e personale.

I nostri incontri e conferenze annuali divennero così una realtà e assunsero ben presto un carattere internazionale, il primo fu l’unico tenuto a Baylor. Organizzai conferenze e incontri in luoghi dove trovai interesse ai nostri temi di ricerca e di sviluppo: a Washington D.C., Bruxelles, Firenze e Repubblica Dominicana (dove avevamo iniziato un progetto importante). La collaborazione con i nostri consiglieri si consolidò, si approfondì e durò non solo fino alla nostra permanenza nell’Università di Baylor, ma proseguì ancora per molti anni. Alcuni di loro divennero miei inestimabili mentori. A loro devo moltissimo, non solo per consigli e raccomandazioni sulla gestione dell’Istituto e dei nostri programmi, ma per avermi aperto mente e occhi a concetti, idee e potenzialità sia sulla sostenibilità ambientale che sugli effetti del cambiamento climatico per la sorte del nostro pianeta. Il nostro consigliere/astronauta, Wubbo Ockels, primo astronauta olandese nello spazio, (che quando lo conobbi mi regalò una bellissima immagine del Friuli ripresa da lui dallo spazio), assunse il ruolo dello scienziato ottimista, mentre il nostro consigliere genio/inventore, Paul Mac Credy, quello dello scienziato pessimista sul futuro del nostro pianeta. I due iniziarono anche a collaborare a progetti e a inserire le invenzioni dell’uno e dell’altro nei loro libri e articoli. Era una soddisfazione assistere all’evoluzione di idee e concetti anno dopo anno, e al piacere che tutti provavano nel ritrovarsi, nel contribuire alle presentazioni sempre interessantissime delle nostre conferenze nei rispettivi argomenti di competenza, legati da un unico filo conduttore, la sostenibilità.

 

Dopo gli incontri /conferenze con i nostri consiglieri, iniziammo a prenderci un paio di giorni in più del previsto per passare un po’ di tempo insieme, per visitare siti e godere delle specialità locali. Eravamo a tutti gli effetti diventati un gruppo di amici impegnati in missioni che trascendevano gli scopi dei nostri progetti o del nostro Istituto. Ricorderò sempre quegli incontri tra i momenti più stimolanti della mia vita. Tra di loro c’erano scienziati atmosferici, un co- vincitore di Premio Nobel ed ex Segretario delle Nazioni Unite, un alto funzionario governativo impegnato nella ristrutturazione dello spazio aereo del futuro, il proprietario di un prestigioso periodico di aviazione francese, un illustre cardiologo che faceva parte del Comitato medico della Federazione dell’Aviazione Americana (purtroppo mancato prematuramente, vittima di un incidente aereo), un imprenditore ambientalista che produceva sostenibilmente etanolo, e alla fine un nostro caro amico da sempre sul quale potremmo scrivere un libro (ma già ne sono stati scritti su di lui). Era un ex Colonnello dei Marines, Bill Holmberg, ripetutamente decorato per atti di eroismo e altruismo e per aver iniziato programmi di pace dopo guerre inutili. Bill aveva proposto la creazione del Dipartimento dell’Energia negli USA, dove fu a capo del primo ufficio per la promozione di bio carburanti. Fu uno tra i primi ambientalisti in USA e il consigliere in temi ambientali di numerosi senatori e Presidenti americani. Bill fu il sostenitore di progetti ambientalistici e di organizzazioni no-profit. Durante ogni nostro viaggio a Washington, Bill ci portava a fare un giro di visite a senatori e membri del Congresso per discutere progetti e proporne di nuovi. Ma le caratteristiche che rendevano Bill unico e insostituibile erano l’umanità, la curiosità e l’apertura mentale, l’entusiasmo, la simpatia, il carisma e lo  stile spontaneo e naturale di leadership, che veniva immediatamente riconosciuto e lo rendeva benvoluto da tutti.

 

Anche Paul Mac Cready (il cui nome fu incluso nella lista delle 100 persone che più contribuirono al progresso del mondo nel XX° secolo), il padre del volo umano, inventore instancabile e fautore del motto “do more with less” (fai di più con meno), condivideva le caratteristiche umane di Bill. Ma in particolare era disarmante la sua umiltà, considerando i successi della sua carriera di inventore, scienziato atmosferico, meteorologo e campione del mondo del volo in aliante. Paul girava sempre con matita e block notes in mano e scriveva sempre tutto quello che gli dicevi. Era instancabile nel suo interesse per gli altri e per nuove idee. Fece un viaggio in Italia per visitare i nostri amici che progettavano e costruivano piccoli aerei e alianti. Noi purtroppo eravamo impegnati in programmi negli USA e non potemmo raggiungerlo, ma ci riferirono che fu accolto ovunque da enorme entusiasmo. Organizzarono per lui un incontro all’Università di Trieste e uno a Milano e ci fu riportato che le sale degli incontri non bastarono a contenere il pubblico. Quando rientrò dall’Italia ci telefonò per chiederci come fare per portare qui negli USA i nostri amici friulani pieni di talento. Era entusiasta. Ci disse che il viaggio e le persone incontrate lo avevano ispirato e rinnovato.

 

Era sempre un enorme piacere passare tempo con Paul a discutere progetti e programmi. Lui si concentrava sempre completamente sulla persona a cui parlava e anche quando ci chiamava al telefono non mostrava mai fretta perché voleva andare a fondo su ogni argomento. Io me lo immaginavo sempre con il telefono in mano e intento a scrivere tutto sul suo block notes. Quando ci raccontò che era andato a New York per inaugurare l’entrata della sua Compagnia, AeroVironment, a Wall Street, ci raccontò anche che aveva comperato mobili nuovi per la casa di suo figlio, visto che ora aveva soldi da spendere e non sapeva come... Nell’animo era puro e quasi innocente, ed era frugalissimo... All’ultimo nostro incontro portava occhiali con una sola stanghetta. Io gli avevo chiesto perchè non li aggiustasse e lui aveva risposto che funzionavano bene anche così! Si concentrava sulle cose importanti e tralasciava tutti i dettagli secondo lui “frivoli”. Fu lui che continuò ad incoraggiarmi a proseguire nel mio progetto “aeroporto verde”, e viaggiammo insieme nella Repubblica Dominicana per definire il programma.

Purtroppo mancò pochi mesi dopo il nostro ultimo incontro a causa di un melanoma. Al commovente memorial, a Pasadena in California, organizzato per famiglia e amici, io commentai sull’ironia della sorte: “Il sole che lui tanto amava e che lo aveva ispirato nei suoi progetti, se l’era anche portato via”. Un vuoto gigantesco nei cuori di tutti noi che avevamo avuto il privilegio di conoscerlo e un’immensa perdita per l’umanità. Uno dei suoi figli mi chiese una foto con quegli occhiali con una sola stanghetta da mostrare al suo memorial “perché” – disse - “questo era mio padre!”.

 

Un altro, Sergio Trindade, scienziato/ingegnere, co-vincitore del premio Nobel per la pace con Al Gore, era un esperto mondiale in biocarburanti e cambiamenti climatici. Ancora prima di divenire nostro consigliere, mi nominò come membro del Comitato Organizzativo Internazionale del primo e più autorevole Simposio internazionale sui carburanti alternativi. Sergio era tra i fondatori del Simposio, aveva partecipato a tutti gli incontri in oltre 40 anni e negli ultimi tempi aveva assunto il ruolo di leader dell’organizzazione. L’evento, che ancora si tiene ogni due anni in varie parti del mondo, mi offrì l’opportunità di incontrare una moltitudine di ricercatori impegnati in progetti d’avanguardia, di collaborare con loro e di apprendere sull’argomento più di quanto avrei mai imparato in qualsiasi aula d’Università, e di viaggiare in molti paesi, specialmente orientali, che ancora non conoscevo. Dopo vent’anni ne faccio ancora parte e ho mantenuto continui contatti con Sergio, non solo in relazione al Simposio ma anche ad altri progetti di sostenibilità ambientale. In febbraio e inizio marzo 2020 dovevamo decidere dove tenere il prossimo incontro. Purtroppo, a metà marzo, Sergio fu una delle prime vittime del Covid-19 a New York. Il consumo energetico in relazione al cambiamento climatico e le conseguenze per pianeta e umanità erano diventati il punto focale del suo impegno, ironia della sorte, viste le relazioni sempre più evidenti tra pandemie e cambiamento climatico. Con la sua scomparsa abbiamo perso la colonna ispiratrice e sostenitrice del nostro Simposio. A me è toccato il triste compito di informare tutti i nostri collaboratori internazionali e i messaggi di rammarico e afflizione continuano ad arrivare da tutte le parti del mondo a distanza di mesi. Un altro gigante che aveva dedicato la sua vita alla sostenibilità ambientale se n’è andato lasciandoci un’eredità inestimabile e un vuoto impossibile da colmare. Per fortuna negli ultimi anni io avevo a mia volta nominato altri membri nel Comitato Internazionale Organizzativo, tra questi due Italiani molto attivi e dinamici. Ci aspetta un duro lavoro…

 

Per tornare alla storia sul nostro Istituto… nei ritagli di tempo sempre più brevi, avevo continuato a seguire dei corsi a livello master alla facoltà di Scienze Ambientali. Non ero riuscita però a elaborare un programma organico che riflettesse i miei interessi correnti, visto che a Baylor non esistevano ancora corsi sugli argomenti specifici di cui mi occupavo. Avevo varie volte discusso con Max sulla possibilità di sviluppare un corso Master all’interno del nostro programma. A Max l’idea era piaciuta, visto che lui avrebbe così avuto modo di integrare la ricerca con il contenuto di alcuni corsi che aveva in mente per svilupparli a livello di master. Era però titubante considerando la lunga prassi formale richiesta dall’Università per l’approvazione di un corso master. Max era impaziente e restio a trattare con documenti, relazioni e pratiche burocratiche. Era felice quando poteva concentrarsi a pieno su tutto ciò che coinvolgeva il volo e l’insegnamento. “Life is too short to waste time” (la vita è troppo corta per sprecare tempo) diceva sempre… Vero! Ma la realtà quotidiana degli ambienti accademici si stava sempre più burocratizzando e richiedeva sempre più il lavoro d’ufficio. Avevamo sin dall’inizio diviso i compiti, ma specialmente dopo la nascita di Ivan avevamo preso la consapevole decisione che uno di noi, al momento io, sarebbe rimasto al sicuro con i piedi a terra, nel mio caso di fronte a un computer. Comunque non mi dispiaceva, visto che eravamo impegnati in ricerche e programmi interessanti. Per cui anche in questo caso, toccava a me esplorare un eventuale programma Master.

Un’intera classe della facoltà di architettura dell’Università di Houston dedicò un semestre ai progetti del nostro aeroporto verde sostenibile. Qui la presentazione finale dei loro progetti, tutti eccellenti!!
Un’intera classe della facoltà di architettura dell’Università di Houston dedicò un semestre ai progetti del nostro aeroporto verde sostenibile. Qui la presentazione finale dei loro progetti, tutti eccellenti!!

Un’opportunità interessante si presentò inaspettatamente: il “Dipartimento dell’Istruzione degli Stati Uniti” in collaborazione con la “Direzione Generale per l’Educazione e la Cultura” della Commissione Europea lanciò una richiesta di proposte di collaborazione tra Università europee e americane in programmi Master che prevedevano lo scambio tra Università di corsi e studenti. Predisponevano fondi per facilitare i programmi. Perfetto! Il problema era che noi non avevamo ancora un Master approvato. Però i fondi disponibili e la prospettiva di un Master internazionale avrebbero potuto allettare la gerarchia universitaria e facilitare l’iter burocratico per l’approvazione. Dopotutto, non ci mancava materiale per corsi da sviluppare e offrire, visto che con le nostre ricerche e programmi avevamo ammassato enormi quantità di dati, analisi e relazioni che aspettavano solo di venir organizzati in corsi didattici e che avrebbero offerto agli studenti non solo argomenti nuovi e stimolanti ma anche l’opportunità di esperienza/ricerca pratica sul campo. Una prospettiva molto attraente.

 

Mi misi al lavoro, confesso anche per interesse personale, visto che ancora speravo di completare il mio agognato e trascinato programma Master. Dopo alcuni incontri esplorativi, preparammo una presentazione comprensiva da offrire ai vari comitati universitari incaricati dell’approvazione per i corsi accademici. Proponemmo un curriculum innovativo e originale, visto che per ricevere l’assenso dovevamo dimostrare che il nuovo non avrebbe duplicato programmi esistenti (per esempio alla facoltà di scienze ambientali o di ingegneria). Non fu semplice… ci vollero mesi di lavoro, ma alla fine riuscimmo nel nostro intento. Nel frattempo avevo preso i contatti con i rappresentanti incaricati al Dipartimento dell’Istruzione e avevo iniziato conversazioni esplorative con professori e ricercatori di altre Università disposti a collaborare. Infatti, per soddisfare i requisiti della proposta era necessario coinvolgere tre Università americane e tre europee. Dopo accanite negoziazioni e l’impiego di molto più tempo e risorse di quanto previsto, arrivarono tutti i permessi, interni ed esterni e gli ambiti fondi del Dipartimento dell’Istruzione. Iniziammo un programma Master Internazionale con l’”Arizona State University” e l’”University of Florida” negli Stati Uniti e le Università di Birmingham in Inghilterra, Lisbona in Portogallo e Firenze in Italia. Questo programma offrì interessanti opportunità di scambio di studenti e di lezioni tra tutte le sei Università. Noi collaborammo in particolare con le facoltà di ingegneria dell’Università di Firenze e di Lisbona, dove periodicamente organizzammo e partecipammo a serie di lezioni e workshops. Io naturalmente fui la prima ad iscrivermi al programma, ma non la prima a completarlo, visti gli altri impegni di lavoro. Per evitare problemi di nepotismo, scelsi come mentore un professore dell’Università dell’Arizona che periodicamente veniva a Baylor, per una serie di lezioni intensive di due giorni ogni mese e lezioni “on line”.

Fu un periodo molto stimolante per me: finalmente potevo concentrarmi su argomenti che mi appassionavano e imparare in maniera strutturata e organizzata materie che mi interessavano. Scelsi di fare la mia tesi su un tema che mi stava molto a cuore, il programma “aeroporto verde”. Anni prima ne avevamo proposta una versione al Dipartimento Dell’Energia Americano sotto il nome “Clean Airports” (aeroporti puliti) e avevamo ricevuto fondi per svilupparlo. Durante il primo anno, dopo aver prodotto tutti gli accordi e i criteri di implementazione, eravamo riusciti a certificare ben 5 aeroporti che avevano soddisfatto tutti i requisiti e iniziato a loro volta programmi educativi e di sviluppo di pratiche sostenibili. Ma proprio quando il successo venne notato e riportato sulla stampa nazionale iniziarono i problemi politici… non avevamo preso in considerazione la lobby del gas naturale!  Il nostro programma non aveva promosso lo sviluppo del gas naturale la cui industria stava sponsorizzando la maggior parte del programma “Clean Cities”. Ricevemmo dunque una notifica dal Dipartimento dell’Energia che il nostro progetto, per continuare, doveva comprendere l’agenzia “EPA” per la protezione dell’ambiente e la “FAA” la Federazione dell’Aviazione Americana per un problema di giurisdizione sugli aeroporti. Dopo vari tentativi di coordinare il lavoro tra le tre agenzie (missione quasi impossibile visto il potere della lobby del gas naturale) decidemmo di provare un’altra strada sotto il nome di “International Clean Airport Program” in collaborazione con un’organizzazione canadese. Certificammo in questo modo un grande aeroporto in California (Palm Springs) ma i principi del programma iniziale si erano diluiti e così iniziai a sviluppare un altro concetto, più comprensivo ma anche più impegnativo.

Una conferenza nella Repubblica Dominicana ci offrì l’opportunità di proporre il progetto “Aeroporto Verde” nell’isola. Fu accolto con entusiasmo. Con l’aiuto del ministro per l’ambiente, anche lui pilota, identificammo il sito ideale per l’aeroporto. Iniziammo da subito un’intensa collaborazione con Governo, Ministeri dell’ambiente, dell’Aviazione e degli aeroporti, con la comunità aeronautica locale e con l’industria privata coinvolta nella produzione di etanolo. Il Presidente del paese, Leonel Fernandez, informato del programma, acconsentì a stanziare fondi per asfaltare la pista di volo.

 

Durante uno dei successivi numerosi viaggi nell’isola, incontrammo personalmente il Presidente. Fummo invitati ad un suggestivo ed esclusivo concerto di quartetto d’archi eseguito da musicisti francesi con strumenti antichi nel cuore di una grotta chiamata “la grotta delle meraviglie”, abitata in passato dalla popolazione indigena Taino. Un aneddoto curioso… allora ci trovavamo nell’isola per uno degli incontri con il nostro Comitato di consiglieri e l’invito al concerto era stato esteso a due altre persone a nostra scelta, visto che il numero degli invitati era limitatissimo. Avevo dunque chiesto ai due membri più anziani, Paul Mac Credy e Bill Holmberg di accompagnarci, e avevo organizzato un altro evento per il resto del gruppo. Paul e Bill erano felicissimi di questa opportunità e prendemmo posto tutti insieme nel cuore della grotta in un’atmosfera surreale. Il suono, straordinario di per sé, era reso sublime dall’acustica naturale del luogo, musica e atmosfera divine! Ne eravamo affascinati! Stavo discretamente riprendendo la scena quando, girandomi per filmare i nostri invitati, mi accorsi che… si erano addormentati tutti e due! Discretamente li svegliai ma subito dopo successe di nuovo… Meno male che si svegliarono per bene durante il bellissimo ricevimento che seguì, quando il Presidente Fernandez e la moglie spesero più tempo con noi, e specialmente con Bill e Paul, a parlare di ambiente, di sostenibilità e dell’aeroporto verde, che non con gli altri invitati che richiedevano invano la loro attenzione. Bill poi per il resto della festa si dedicò all’ambasciatrice francese, un’affascinante, elegantissima e interessantissima signora. Queste tra le preziose memorie che abbiamo accumulato negli anni su individui straordinari ed eccezionali come i nostri consiglieri!

 

Divergo, ma per tornare al progetto… Dopo un inizio veloce e propizio, cominciarono i problemi… conflitti d’interesse tra i ministeri e cambiamenti d’opinione sull’aeroporto scelto, e ormai anche asfaltato, ci forzarono a cercare un altro sito. Un proprietario terriero locale ci offrì un appezzamento di terra per costruire un nuovo aeroporto e la base dell’Accademia di volo. Ma questo significò dilatare I tempi, specialmente in lungaggini burocratiche per richieste e permessi di costruzione.

 

Intanto cominciammo la ricerca degli aerei e degli sponsors. Ben presto riuscimmo a formare una mini flotta di sei aerei da utilizzare nel programma. Cinque di questi erano del tipo che noi avevamo già certificato con la Federazione dell’Aviazione Americana ad etanolo. Nel frattempo, avendo completato i corsi di base del Master, io finalmente finii la mia tesi su questo programma. Il documento descriveva tutte le fasi del progetto, quantificando e comparando i rapporti energetici sia della produzione che dell’utilizzazione dell’etanolo prodotto localmente e il ciclo d’emissione della CO2, la riduzione dei gas di scarico e altri impatti ambientali, i vantaggi tecnici e meccanici, i benefici economici e l’impatto sociale locale. Avevo poi trasdotto questi dati per fornire un modello sui benefici dell’utilizzo dell’etanolo su grande scala per l’aviazione generale negli Stati Uniti. Le informazioni contenute nella mia tesi furono utilizzate per produrre proposte e presentazioni per promuovere il programma e ottenere fondi necessari alla sua implementazione.

 

Alla fine del 2008 lasciammo l’Università di Baylor dopo 19 anni di lavoro per me e 35 anni per Max. Non fu una scelta facile. L’Università` di Baylor, la più vecchia Università in Texas, era stata fondata dai Battisti nel 1845, ma come altre Università in USA, era sulla buona via della secolarizzazione. Tuttavia, con l’avvento di un nuovo Presidente e l’aggiunta di membri ultra-conservatori nel Consiglio governativo, l’amministrazione dell’Università aveva assunto posizioni fondamentaliste sempre più accentuate che si insinuarono, impercettibilmente all’inizio, poi sempre più aggressivamente, nelle funzioni ordinarie e nel tessuto stesso della vita accademica, sia degli studenti che delle facoltà. Noi, come Dipartimento scientifico/tecnico non ne risentimmo molto all’inizio, e anche più tardi fummo lasciati in pace grazie ai notevoli fondi di ricerca e al prestigio internazionale che apportavamo all’Università. Ciononostante, a poco a poco ci trovammo anche noi impigliati nella rete delle nuove regole. Piccole mosse all’inizio, che divennero sempre più audaci e a volte bellicose. Per esempio, durante un viaggio a Cuba per una conferenza e visite a varie Università, eravamo stati invitati a un incontro con il Ministero dell’Aviazione e dell’Agricoltura, interessati al nostro programma e alla produzione di etanolo (dalla canna da zucchero) come carburante nel paese. Al nostro rientro a Baylor, fummo convocati dagli avvocati dell’Università e accusati di aver collaborato con il governo di Cuba. Io dovetti sottoporre tutte le mie comunicazioni e le mie emails e poi anche il mio computer agli avvocati dell’Università per controlli. Per fortuna ci aveva accompagnato a Cuba il Preside della facoltà di lingue, il cui padre era cubano, che aveva già da anni stabilito programmi di scambio per studenti a Cuba. Era un amico che conoscendo bene Cuba si era offerto, formalmente, di farci da guida e da interprete. Sapeva bene come muoversi in queste circostanze essendo di natura e per esperienza molto più diplomatico di noi e conoscendo già le trappole da evitare. Alla fine non ci furono conseguenze  ma l’incidente lasciò un sapore amaro, e altri simili seguirono.  Intanto si stavano formando alleanze e coalizioni tra le varie facoltà per protestare contro il nuovo clima di bigottismo, di nuove regole e di intolleranza. Da parte nostra, inviammo un lungo documento ai “Regents” (Consiglio governativo) dell’Università con un resoconto delle nostre esperienze e per esprimere il nostro dissenso. Una settimana dopo il Presidente dette le dimissioni.

 

Fu una vittoria momentanea. Purtroppo la presenza dei membri ultra-conservatori influenzava ancora il clima dell’amministrazione. Noi da tempo avevamo budget e permesso per assumere uno scienziato atmosferico, del quale avevamo assolutamente necessità sia per la ricerca che per l’insegnamento. Una delle nuove regole d’assunzione richiedeva ai candidati di descrivere in una lettera la loro missione e i loro valori. Noi avevamo scelto un Americano e un Tedesco, due scienziati  già noti con eccellenti curricula ed esperienze nel campo. Dopo le nostre interviste interne, visite al campus e incontri con le commissioni incaricate dell’approvazione, nessuno dei due passò il cosiddetto “test religioso” visto che non appartenevano ad alcuna confessione. Questo rappresentò per noi il culmine! I nostri due candidati vennero subito dopo assunti dall’Università di Houston in procinto di espandere il  dipartimento di Scienze atmosferiche, e noi fummo costretti a sub-contrattarli per impiegarli nei nostri progetti di ricerca. Nel frattempo, la situazione politico/religiosa all’Università si stava velocemente deteriorando e già più volte io avevo suggerito a Max di uscirne. Lui era d’accordo, ma amava troppo i suoi studenti e il nostro programma, e a dire il vero non sarebbe stato facile, o direi quasi impossibile, trovare una Istituzione accademica in grado di offrire risorse simili a quelle che eravamo riusciti ad ottenere dopo tanti anni di intenso lavoro e di circostanze ideali. E Max amava insegnare!

Conferenza ISAF in Sudafrica
Conferenza ISAF in Sudafrica

Un giorno, durante un colloquio telefonico, i due scienziati atmosferici assunti dall’Università di Houston si erano lamentati della distanza e dei viaggi che avrebbero dovuto fare per assistere a certe modifiche e calibrazioni di strumenti sui nostri aerei in preparazione per la successiva campagna di monitoraggio. Io la buttai lì “Perché non ci trasferiamo noi alla vostra Università con tutto il nostro armamentario?”. Silenzio, seguito da un “… Ma veramente… lo prendereste in considerazione?” e io “Perchè no?” Max al momento insegnava e non era presente. I due amici, che erano stati assunti con l’obiettivo di trasformare e ampliare il Centro di Scienze atmosferiche della loro Università, non esitarono un secondo. Tutti e due entusiasti mi chiesero di parlarne con Max mentre loro sarebbero subito andati a fare la proposta al loro Preside di facoltà. Mi ricontattarono dopo neppure mezz’ora, prima ancora che io avessi avuto l’opportunità di parlarne a Max. Mi dissero “Qui da noi sono tutti d’accordo! Mettiamoci subito al lavoro con budget e strategia”. Naturalmente Max non fu subito d’accordo e ci volle un po’ di tempo per persuaderlo. Nel suo ruolo aveva molta libertà sul curriculum e insegnava tutti i corsi che voleva, perfino uno sulla storia dell’aviazione, una sua passione, corso che aveva reso disponibile a tutti gli studenti dell’Università e che era stato accolto con grande apprezzamento. Avevamo un enorme hangar pieno di aerei e strumenti, due banchi di prova per motori d’aereo, uno per motori a pistoni e uno per turbine e tutti i giocattoli che lui non avrebbe mai neppure immaginato di possedere un giorno. Ma alla fine fu d’accordo con me. Non potevamo più continuare a vivere con i compromessi e con l’ipocrisia che ci circondava.  Iniziammo le negoziazioni. Come al solito, ci volle molto più tempo del previsto: contratti, avvocati, concordati, documenti su documenti, ma alla fine riuscimmo a partire con tutto quello che fu trasferibile, compresi alcuni dei nostri ex studenti divenuti ricercatori. Fu un addio dolce/amaro a Baylor e ai nostri amati studenti, molti dei quali arrivarono da tutte le parti degli Stati Uniti per salutarci e augurarci successo durante una festa piena di emozioni. Con molti di loro siamo ancora in contatto.

L’Università` di Houston ci assegnò un “project manager”, di nome Paul Roberts, per aiutarci nella nostra transizione da Baylor, particolarmente complicata considerando lo spazio necessario per tutto l’equipaggiamento e gli aerei che portavamo con noi. Paul era considerato un “problem solver” uno che risolve problemi e molti ricercatori contavano su di lui per una varietà di questioni e soluzioni, scientifiche, tecnologiche o burocratiche. Inoltre era anche lui un pilota, di origini irlandesi, con un passato avventuroso e molto interessante: si era arruolato da giovane nell’esercito britannico, aveva fatto parte delle forze speciali dell’esercito, dove aveva acquisito abilità ed esperienze critiche che gli avevano consentito nella vita post-militare di intraprendere carriere di successo in vari paesi del mondo prima di approdare all’Università di Houston. Parlava cinque lingue, era curioso e partecipe, con una personalità solare che lo rendeva subito benvoluto da tutti. Paul si appassionò subito al programma “Aeroporto Verde” diventandone uno tra i più entusiasti sostenitori e promotori. Dopo un po’ di mesi di collaborazione con noi e con i nostri progetti, Paul inoltrò all’Università la domanda di lavorare esclusivamente con noi accettando una notevole riduzione di salario. Contribuì così a ogni aspetto dei nostri programmi, ma specialmente a quello di implementazione dell’“Aeroporto Verde” nella Repubblica Dominicana. Fu essenziale nel mantenere i contatti con le autorità locali dell’aviazione durante il processo di approvazione e ben presto ci chiese di assumere il ruolo di manager in residence del programma. Naturalmente accettammo con gioia visto che sarebbe stato perfetto in quel ruolo. Parlava lo Spagnolo, ormai si era fatto conoscere e benvolere da tutti i locali, aveva una passione intensa per l’aviazione e possedeva notevoli capacità ed esperienza manageriali.

 

Dedicammo molto tempo a questo progetto… seguì la creazione di due Fondazioni per la sua gestione e l’agognato conseguimento dei permessi per la creazione dell’Accademia di volo. Il programma venne finalmente inaugurato a Santo Domingo durante una festosa e ufficiale presentazione con Ministri e funzionari del Governo e rappresentanti della comunità aeronautica e dell’industria. La scuola di volo iniziò le attività all’Aeroporto per l’aviazione generale di Santo Domingo come base temporanea, visto che il vero Aeroporto verde era ancora in costruzione e la sua costruzione ben presto si era bloccata… Infatti, dopo aver tagliato gli alberi per fare posto alla pista ed aver edificato una segheria adiacente per utilizzare il legname nella costruzione delle strutture dell’aeroporto, il Ministro degli aeroporti annunciò che i fondi promessi per completamento e asfaltatura della pista erano stati tagliati dal suo budget. Avevamo già capito che tutto quello che succedeva nella Repubblica Dominicana era dettato da relazioni personali, amicizie, simpatie o antipatie e che praticamente la corruzione era rampante a tutti I livelli. Con il cambio del Governo infatti la situazione era cambiata. Ma era cambiata anche perchè il nostro partner, Paul Roberts, che era pronto a stabilirsi come capo programma in loco, improvvisamente si ammalò e dovette rientrare negli Stati Uniti. Purtroppo la diagnosi fu brutale: glioblastoma, un tumore al cervello, di solito fatale.

Conferenza sui biocarburanti, specialmente quelli ad alcool. Ho partecipato a tutte le conferenze dal 1990 ad oggi e dal 2000 faccio parte del comitato internazionale organizzativo
Conferenza sui biocarburanti, specialmente quelli ad alcool. Ho partecipato a tutte le conferenze dal 1990 ad oggi e dal 2000 faccio parte del comitato internazionale organizzativo

Per farla breve… durante il primo anno di operazioni la scuola di volo ebbe successo e così gli aerei a etanolo. Paul durante le varie fasi della sua malattia cercò di gestire la scuola on-line ma purtroppo gli istruttori locali, compreso il capo istruttore, non si attennero alle regole predisposte, e ben presto ci furono problemi sia con la manutenzione degli aerei e le ispezioni tecniche periodiche obbligatorie, sia con il budget perchè i conti non tornavano visto che le ore di volo non venivano pagate correttamente.

 

La pista dell’aeroporto verde non venne mai pavimentata e ben presto nacquero discordie anche tra i vari membri delle Fondazioni.

 

Noi nel frattempo eravamo molto occupati con nuovi programmi all’Università di Houston, mentre Paul continuava a sperare di ristabilirsi e di rientrare nella Repubblica Dominicana appena possibile. Per ragioni sia tecniche che di responsabilità legali, a un certo punto dovemmo prendere la decisione di interrompere le attività di volo della scuola e tenere gli aerei a terra fino a quando non fossimo stati in grado di ristabilire una presenza in loco. Il programma restò inattivo ma pronto a ripartire,  decidemmo di tenere aperta quella porta per Paul, come augurio e motivazione a guarire. Purtroppo dopo sette anni di cure, con alti e bassi, speranze e delusioni, Paul ci lasciò. Decidemmo allora di far rientrare gli aerei negli Stati Uniti dopo aver imparato, per l’ennesima volta, considerando le esperienze precedenti in Brasile, che non è facile lavorare in certi paesi, specialmente se non si mantiene una costante presenza fisica in loco. Purtroppo tre aerei furono gravemente danneggiati durante il trasferimento via mare dalla Repubblica Dominicana.

Conferenze ISAF in Sud Africa. Qui sono con Sergio Trindade, caro amico, mentore e consigliere del nostro istituto, ad assaggiare i vini di Stellenbosch. Visto che il nostro simposio tratta di alcool è nostro dovere controllarne la qualità ? Purtroppo Sergio, la colonna sostenitrice del nostro simposio, è mancato recentemente, una delle prime vittime del Covid19 a New York!


Che cosa fai ora?

A poco a poco ci allontanammo dalla vita accademica che a Max cominciava a pesare. L’Università di Houston, essendo statale, era più rigorosa su pratiche burocratiche, relazioni e incontri di facoltà che Max aveva sempre detestato. Tuttavia, anche dopo un pensionamento ufficiale, l’Università ci tenne la porta aperta... Per progetti o programmi futuri potremo sempre appoggiarci all’Università. Anche Max potrà sempre proporre I suoi corsi sui modelli matematici di trasporto e diffusione di inquinanti nell’aria, che in questa Università furono molto apprezzati. Alcuni dei nostri ex studenti trasferiti con noi a Houston, hanno ora preso in mano le redini del programma di monitoraggio della qualità dell’aria. Niente più aerei, ma utilizzano ancora su stazioni mobili tutti gli strumenti ottenuti da noi. Due di loro sono a capo dei laboratori e dei programmi e a loro volta ne propongono altri e ricevono fondi di ricerca. A volte ci incontriamo per un pranzo o una cena e ci fa un immenso piacere sentire il loro apprezzamento per quello che fanno e per quello che hanno imparato e ricevuto negli anni che abbiamo trascorso insieme. E noi siamo orgogliosissimi di loro e felici di essere riusciti nell’intento di trasmettere la nostra passione. Alcuni ex studenti che hanno scelto altre strade, come capitani su aerei di linea, o che hanno fondato scuole di volo o industrie aeronautiche, mantengono periodici contatti con noi e hanno sempre parole di apprezzamento quando ci sentiamo o ci vediamo. Tutti raccontano sempre tante storie su Max, famoso per il suo rigore come professore ma anche e specialmente per la sua simpatia, le sue battute spontanee e divertenti e il suo spirito ribelle e anticonformista.

 

La mia priorità al momento è mantenere mio marito in salute. Le sue attività preferite ora sono l’esercizio fisico, la lettura, che è sempre stata la sua grande passione e, sorprendentemente, i viaggi. Quando giravamo di continuo per lavoro, lui protestava e diceva che non vedeva l’ora di non dover più salire su un aereo di linea. A dire il vero, a volte avevamo esagerato… come in un viaggio dall’Australia agli Stati Uniti e poi senza pausa, dagli Stati Uniti al Brasile, passando tre giorni e due notti in aereo. Fortunatamente per me, che ho uno spirito zingaro (“zingarute” mi chiamava mia madre), piano piano a Max è tornata la voglia di viaggiare. Ora quando rientriamo in Texas mi chiede: “Quando ripartiamo?” Naturalmente anche noi al momento siamo fermi e ci muoviamo solo tra Houston e Waco dove manteniamo ancora una casa e aerei.

 

(Ivan è cresciuto viaggiando, visto che lo trascinavamo sempre con noi in giro per il mondo. A volte passavamo intere estati a girovagare su e giù e in lungo e largo per Sati Uniti o Canada impegnati in programmi, dimostrazioni, workshops, conferenze o programmi di monitoraggio. Quando ci fermavamo in Texas per un periodo più lungo, magari rientrando da scuola lui diceva “Ma perchè andiamo a casa? Andiamo in un hotel!” A lui gli hotel piacevano molto, penso specialmente perchè non c’erano lavoretti da fare e tutto era più semplice… Diceva sempre che da grande lui non avrebbe avuto una casa ma sarebbe vissuto in giro per hotel).


Decisioni da prendere?

Al momento mi ritrovo a gestire dieci aerei in varie condizioni di riparazione. Proprio ora dovrò prendere una decisione importante su come utilizzare i sei aerei che avevamo destinato all’Accademia di volo e il programma “Aeroporto Verde”, che fanno parte di una nostra organizzazione no-profit. Il tentativo più recente di stabilire qui in Texas una scuola di volo con gli aerei modificati a etanolo è appena fallito. Dopo negoziazioni con un aeroclub/scuola di volo con il quale avevamo predisposto un piano d’azione, un membro del club, un petroliere texano, è riuscito a convincere gli altri che l’etanolo non è un carburante affidabile!  Nel frattempo, il costo dei prodotti petroliferi è precipitato per cui il vantaggio economico ha perso valore e quello ambientale evidentemente non è ancora abbastanza apprezzato.

 

Sto consultando amici coinvolti in aviazione, e anche alcuni dei nostri ex studenti, cercando di capire come meglio utilizzare questi aerei, se persistere nel progetto originale o se cambiare rotta. Ho imparato quanto sia importante non restare legati a concetti, idee e sogni del passato che non siamo riusciti a realizzare, ma capire e ammettere quando le condizioni cambiano e mantenere la mente aperta ad altre possibilità. Non so se abbandonare l’idea di esporre il Velocity, l’aereo con il quale abbiamo attraversato l’oceano, al museo Smithsonian, o cercare alternative. Molti anni fa il museo ci aveva chiesto di aspettare che l’etanolo diventasse un carburante comune, per evitare parvenze di pubblicità per l’etanolo,  una scusa, dettata senz’altro da conflitti d’interesse visto che la lobby del petrolio è sempre dominante.

Senz’altro ora siamo in una nuova fase della nostra vita, la cui realtà (gli anni che passano) per Max è difficile da accettare. Lui si identifica ancora con i suoi ruoli preferiti del passato, insegnante e pilota acrobatico. Non è semplice… per quanto riguarda l’insegnamento io spesso mi sacrifico e gli chiedo qualche lezione, così almeno si sfoga un po’, ma il volo è un argomento più delicato… cerco di convincerlo ad assaporare i ricordi della sua incredibile carriera, della sua esperienza, e a trasmettere le lezioni imparate alle nuove generazioni, magari scrivendo un libro oppure organizzando un giro di presentazioni a scuole aeronautiche… ma niente, lui persiste e insiste che vuole continuare a volare. Meno male che i suoi due biplani acrobatici sono ad aggiustare, uno in Michigan e uno in Florida e a causa di ritardi non saranno pronti nell’immediato futuro. La proverbiale saggezza del tempo non ha ancora raggiunto la nostra casa! Chissà, forse è un bene in fondo in fondo restare un po’ bambini…


Lezioni imparate

Lezione n. 1: “per realizzare un sogno bisogna dedicarci anima e corpo. Quando ci si lascia coinvolgere in troppi progetti, a meno che non si trovino persone con gli stessi scopi, obiettivi e determinazione, non ci si può aspettare il successo. Già a livello intuitivo lo sapevo, ma per me divenne sempre più evidente quando mi trovai a gestire troppi programmi e realizzai che non avrei potuto dedicare ad ognuno l’attenzione necessaria. “Il diavolo sta nei dettagli” si dice qui in America. Ed è vero! Potrei trovare mille scuse per l’insuccesso del progetto “Aeroporto Verde” nella Repubblica Dominicana. Ma me ne prendo tutta la responsabilità. Lo avevo concepito, studiato, organizzato, impostato, avevo lavorato anni per realizzarlo, aiutata da persone eccezionali, e proprio in linea d’arrivo mi ero lasciata distrarre da altri progetti in corso e dal trasferimento da un’Università all’altra, oltre naturalmente ai doveri ordinari della gestione familiare. Avrei dovuto essere io presente in loco e dedicare anima e corpo al programma. Ma niente scuse! Mea culpa! Lezione imparata!

 

Senza dubbio gli stimoli più importanti nella vita li ho avuti da mia madre che mi ripeteva spesso “usa la tua intuizione”, “anticipati sempre” e anche “un sorriso non costa niente!” E un sorriso vuol dire più della semplice espressione facciale… Vuol dire una genuina apertura di mente e di cuore verso altre opinioni, modi di vivere e culture. Ho imparato presto che quel tocco che comincia con un sorriso, non importa che lingua si parli, è la chiave che apre tutte le porte nelle relazioni sia personali che professionali, che predispone a simpatia, positività e accettazione. I momenti più emozionanti e gratificanti della mia vita sono sempre stati legati a relazioni personali che si sono approfondite e arricchite nel tempo. E anche nella mia esperienza professionale, alla base del successo dei nostri programmi furono sempre le solide e autentiche relazioni di fiducia, di rispetto e di stima con rappresentanti delle organizzazioni sponsorizzatrici, colleghi, ricercatori, meccanici e con le moltitudini di studenti che lavorarono con noi. E sono essenziali passione, curiosità, genuino interesse e tanta umiltà! Io sono convinta che la fortuna ce la creiamo noi, generando intorno a noi un’atmosfera di positività, ottimismo e fiducia. I mentori fantastici che ho avuto la fortuna di incontrare lungo la mia strada, hanno semplicemente confermato le lezioni imparate fin da piccola dalla mia straordinaria madre, Anita Sebastianis.


Che cosa ti ha spinto a fare le tue scelte?

All’inizio, la voglia di libertà, il bisogno di fuggire, volare, viaggiare e conoscere il mondo. Per molti che mi conoscevano, le mie scelte a volte forse erano sembrate casuali, un zigzagare tra diversi interessi e obiettivi. Ma sotto sotto c’era sempre un filo conduttore… percorsi che sembravano interrompersi ma che si aprivano invece ad altri, che davano spazio a ulteriori prospettive e potenziali. C’erano porte che aprivo e lasciavo aperte “just in case” come si dice qui, “giusto in caso”. Avevo capito a livello intuitivo l’importanza di fare la scelta giusta ad ogni bivio che si incontra nella vita. Fin da giovane avevo preso la decisione cosciente di fare la scelta che avrebbe evitato futuri rimpianti. Tenevo sempre un occhio al futuro anche quando le mie opzioni sembrarono dettate da impulsi e passioni. Devo tanto a una madre intelligente che non solo aveva sempre stimolato la mia intuizione, ma che si era fidata delle mie e che non aveva mai smorzato entusiasmi e iniziative, anche quando le avevano probabilmente provocato tremende apprensioni. So di non essere stata una figlia facile per lei, ma una linea telepatica diretta tra noi trasmetteva molto più di quanto avrebbero espresso le nostre parole. Forse anche lei avrebbe desiderato fare le mie scelte?


Quali sono stati i passaggi più importanti della tua vicenda personale?

I libri di Dostoevskij, che arrivarono nella mia vita al momento giusto per aprirmi occhi, cuore ed anima, rispondere alle mie domande e dare una direzione ai miei pensieri. Li incontrai per caso… Avevo letto tutti i libri a disposizione a casa mia, di parenti e amici e alla limitata biblioteca scolastica (che in quei tempi consisteva in un armadio all’interno della Cassa di Risparmio). Fu allora che la mia insegnante convinse mia madre a darmi 1.000 lire, che naturalmente dovevo guadagnarmi, per comperare un libro alla settimana. E così cominciai a comperare i libri a peso e scoprii i Russi. Fu un amore a prima vista!

 

Il terremoto in Friuli, che mi costrinse a riflettere sulla precarietà della vita e i suoi valori essenziali e che mi regalò profonde e preziose esperienze umane nei mesi che trascorsi in un paesino di collina a lavorare come volontaria.

 

La scuola di vela, che mi spalancò la porta sul mondo e mi diede l’occasione di fuggire e viaggiare.

 

Il volo, che mi regalò quella terza dimensione che avevo sempre sognato e mi offrì esilaranti sensazioni di libertà, indipendenza, realizzazione e pura felicità.

 

L’incontro con Max, il principe azzurro di un sogno mai abbandonato. Al nostro incontro, i miei zigzagare apparvero come una linea retta con lui al capolinea. I nostri passati, esperienze, desideri e passioni conversero come fossero stati programmati apposta per il nostro improbabile incontro. La prima serata insieme si prolungò in una nottata straripante di storie, memorie di vicende e incontri mancati, nonché idee e pensieri combacianti sugli scritti dei nostri comuni eroi, Antoine de Saint-Exupéry e Dostoevskij, che sigillarono il nostro vincolo.

 

La nascita di mio figlio e la morte di mia madre. Esattamente cinque anni dopo il nostro incontro, nacque nostro figlio Ivan che stravolse in modo straordinario la nostra vita, arricchendola e completandola. Ma un mese dopo morì mia madre. Un’immensa felicità, seguita da una profondissima tristezza. Due eventi quasi contemporanei che cambiarono drasticamente prospettiva e visione di vita. Io da quel momento restai a terra mentre Max continuò a volare. Il mio senso di responsabilità a volte sembrò soffocarmi. Mi ci vollero mesi per ricalibrarmi, trovare il giusto equilibrio e riguadagnare un po’ della leggerezza di spirito che avevo perso. Senz’altro quello fu un passaggio importantissimo nella mia vita.


I tuoi valori

I miei valori sono sostanzialmente quelli trasmessi con l’esempio dai miei genitori e assorbiti dalla cultura in cui sono cresciuta, quella del nostro paese e in particolare quella friulana. Valori semplici, fondamentali ed essenziali. Max e Ivan mi rimproverano spesso che è stato il mio crescere in una cultura cattolica, e specialmente, secondo loro, i sensi di colpa inoculati, che scandiscono la mia determinazione, le mie decisioni e la mia ricerca della perfezione. Forse c’è un po’ di verità, infatti percepisco che loro, essendo prodotti di una cultura diversa, elaborano sentimenti, reagiscono e fanno scelte senza pensarci due volte… Ma a volte, quando mi rimproverano, a me scappa un “Qualche senso di colpa farebbe bene anche a voi!”


I tuoi progetti, i tuoi desideri

Scrivere il libro che da anni varie persone e organizzazioni ci esortano a pubblicare sul nostro volo. Non è tanto la storia di un volo, che farebbe da sottofondo, ma il racconto dell’evoluzione da una società basata sul consumo di idrocarburi a una società in cammino verso la sostenibilità. I biocarburanti rappresentano solo una fase temporanea di questo percorso, sostituendosi ai carburanti liquidi che danneggiano l’ambiente e la salute umana, ma l’obiettivo finale è l’energia solare, in una forma o nell’altra, eventualmente anche per l’aviazione. E io non vedo l’ora di volare su un aereo solare.

 

Semplificare la vita, disfarmi di archivi sparsi in giro per uffici, garage e hangar , aerei e oggetti inutili e anche progetti che si trascinano. Trovare un nuovo scopo e una buona sistemazione agli aerei e coinvolgermi in programmi di sostenibilità ambientale che non richiedano manutenzione tecnica…(ho già i miei due uomini che necessitano di continua e intensa “manutenzione!"

 

Grazia Zanin


Da        Grazia Zanin                                                                                                               8 lug 2020, 06:59

A          Maria Fanin

 

Carissima Maria,

... nonostante i miei buoni propositi di semplificare la vita non ho resistito all’invito di uno dei nostri scienziati atmosferici a formulare una nuova proposta di monitoraggio della qualità dell’aria utilizzando aerei. Per cui eccomi di nuovo immersa in questi giorni in un turbinio di progetti...

 

Sono sicura che tu riuscirai a dare senso e continuità alla nostra intervista nonostante le mie storie lunghe e sconnesse! Mi farà piacere ricevere l’articolo finale, se potrai inviarmelo. E ti ringrazio tanto per avermi dato l’opportunità di sforzarmi a scrivere di nuovo in Italiano e a rivangare e ordinare ricordi che saranno utili per scritti futuri.

 

Un grande abbraccio a te e famiglia e un “mandi mandi”,

 

Grazia


Alcune immagini che testimoniano la vitalità di Grazia e l’intensa rete di contatti/amicizie che ha creato.

Queste sono immagini a me molto care... a Houston abbiamo fatto amicizia con alcuni astronauti, specialmente con Roberto Vittori, sua moglie Valeria, divenuta mia cara amica  e I loro ragazzi (amici di Ivan). Con una nonna italiana adottata abbiamo fatto insieme gli gnocchi sulla nostra terrazza e goduti insieme a loro e ad altri della NASA. Roberto ci ha invitati al suo lancio nello spazio come parte della sua famiglia a Cape Canaveral (emozionante!) e ha portato con se la mia medaglietta del battesimo con la madonnina. Dallo spazio mi ha inviato un centinaio di foto della mia madonnina che volava ed esplorava ogni angolo della stazione spaziale internazionale (almeno lei è andata!) La foto con Roberto e amiche è stata fatta al suo ritorno a terra! E lui ha voluto farmi la dedica.  Siamo ancora in contatto con lui e Valeria. Bellissimi ed emozionanti ricordi!

Qui sono a Houston al centro di cultura italiano con i nostri astronauti italiani, Paolo Nespoli e Roberto Vittori, tutti e due molto carini! Un fatto spiritoso... l’unica volta che Paolo è venuto a cena da noi con la sua famiglia, con Roberto e famiglia e altri amici, non ha potuto mangiare quello che avevo cucinato io perché era in una dieta speciale da astronauta. Si era preparato nella nostra cucina (tutto in 5 minuti) i cibi che doveva mangiare, soffrendo visibilmente mentre noi ci godevamo specialità italiane. Poi tutti insieme abbiamo fatto il girotondo cantato in Italiano con la sua bambina e sua moglie russa compresa la caduta a terra... E ripetuta più volte! Una bellissima serata con persone speciali! Mi mancano gli Italiani!!!

Queste sono le mie immagini preferite di Max riprese mentre lui si preparava alla stagione di manifestazioni aeree.

Gli amici friulani sempre nel cuore.