· 

Presentazione 2° quaderno storico

Il 25 gennaio, nell'ambito delle attività previste per la Giornata della Memoria, abbiamo presentato il secondo quaderno del Gruppo.


Una storia dimenticata raccontata nel 2° quaderno storico del Gruppo

(testo di Giorgio Negrello)

 

Il quaderno è dedicato agli Internati Militari Italiani (I.M.I.) nei campi di concentramento tedeschi dopo l’8 settembre 1943. E’ il risultato dell’opera di quel comitato, mi piace chiamarlo così, composto dal Capogruppo Davide De Piante, da Marco Zanon, da Giovanni Sguassero e da me che si dedica a definire i contenuti dei quaderni in fieri.

 

Ha preso spunto dalla donazione, al fondo dell’Associazione, del labaro e dell’elenco degli iscritti all’ANEI (Ass.ne Naz.le Ex Internati) della Sezione di San Giorgio da parte della famiglia di Guglielmo (Italo) Taverna, ultimo Presidente.

 

Il mio contributo è stata la ricerca di documenti relativi a quei soldati presso gli archivi accessibili; inoltre ho cercato di definire il quadro in cui si consumarono gli avvenimenti di quei giorni, dalla fuga del Re, del governo e dei vertici militari all'occupazione tedesca. Ho ricordato anche l’avventura di mio padre, che riuscì a tornare a casa.

Nel tempo concessomi per la presentazione ho voluto parlare di un posto, che pur non avendo legami con il nostro paese, ha un nome che io ritengo estremamente significativo: Cefalonia. A volte si parla di coincidenze, la mia compagnia, al corso allievi ufficiali, era intitolata a “Cefalonia”; quando andavo a scuola ad Udine (ore 6.40 littorina, quella marron nocciola con la riga rossa, poi, da Palmanova, vaporiera proveniente da Cervignano, con i vagoni cento porte, il vapore sotto i sedili di legno ed i finestrini scorrevoli a ghigliottina) avevo una compagna che si chiamava Apollonio, era la figlia di un colonnello d’artiglieria. Il capitano Renzo Apollonio, assieme al collega Amos Pampaloni, fu protagonista dei fatti di Cefalonia. Per strade diverse i due sopravvissero alla tragedia che là si consumò.

 

Le isole greche nell’Egeo sono moltissime, c’è Itaca, l’isola di Ulisse, vicina e più grande: Cefalonia. All’epoca vi era dislocata la Divisione “Acqui”: artiglieria, fanterie e distaccamenti di marinai. Lì la colse l’otto settembre; gli ordini furono gli stessi che per il territorio metropolitano: confusi, contradditori, con la differenza della distanza dalla madrepatria e della difficoltà di comunicazione. Nei momenti di confusione, seguenti all’annuncio dell’armistizio, si era diffusa tra i militari la voce (radio naja) di un possibile recupero da parte della Marina e quindi di un rimpatrio; era la speranza che nutriva la veridicità dell’asserito, nulla si sapeva di quanto stava realmente succedendo, anche nei vicini Balcani.

 

L’undici settembre arrivò al Comando Divisione un ultimatum tedesco. Durante i successivi rapporti ai comandanti delle unità venne sfiorata più volte l’insubordinazione. Alcuni ufficiali si resero responsabili di “sobillazione sediziosa” nei confronti dei loro sottoposti. In alcuni reparti ci furono “mormorazioni”. Opporsi ai tedeschi sembrava a molti la soluzione per dare tempo alla Marina d’intervenire: la via per tornare a casa. Tragicamente, mentre questi ci credevano, in Patria nessuno pensava al loro destino, non c’erano piani, né navi né altro. Non lo sapevano, proposero al comandante in capo una specie di referendum, non un atto di democrazia nel senso moderno, ma una consultazione. Alcuni reparti non furono neppure interpellati, altri (quelli convinti) approvarono per acclamazione. Il gen Gandin cedette. Il presidio germanico si arrese, era scarso di uomini e mezzi.

 

Il 15 settembre i tedeschi avviarono l’invasione con forze preponderanti, appoggiate dall’aviazione, padrona assoluta dei cieli. I combattimenti durarono sino al 23. Le perdite furono stimate in 1.200 da entrambe le parti. Gli italiani esaurirono munizioni e viveri, non avevano rifornimenti, il mare restò desolatamente vuoto di navi amiche. Il 23 la divisione si arrese, vennero rastrellati. Tra il 24 ed il 25 furono fucilati 193 ufficiali, tra cui lo stesso Gandin e circa 5.000 militari (stime dello storico G. Rochat). I superstiti furono imbarcati per essere trasferiti in Germania, due navi finirono sulle mine, una venne bombardata dalla RAF e ci furono altri 2.000 morti. I sopravvissuti furono circa 4.000.

 

Per loro si aprirono i cancelli dei campi di concentramento. La corona dichiarò guerra alla Germania solo il 13 ottobre.


Storie di lager: presentato il secondo quaderno storico del gruppo

(testo di Marco Zanon)

 

Il quaderno che abbiamo presentato si compone di tre parti:

- la prima che tratta in generale della storia degli IMI,
- la seconda che riproduce l’elenco e i documenti raccolti circa i militari sangiorgini deportati nei campi di concentramento,
- la terza che riporta le testimonianze dirette ed indirette di alcuni dei soldati imprigionati.

 

Come noto I.M.I è un acronimo che sta per Internati Militari Italiani (Italienische Militär - Internierten) ovvero il nome ufficiale dato dalle autorità tedesche ai soldati italiani catturati, rastrellati e deportati nei territori della Germania nei giorni immediatamente successivi all‘Armistizio con le truppe alleate.

 

Dopo il disarmo, soldati e ufficiali vennero posti davanti alla scelta di continuare a combattere nelle file dell’esercito tedesco o, in caso contrario, essere inviati in campi di detenzione in Germania. Solo una percentuale molto bassa (circa il 10%) accettò l’arruolamento: gli altri vennero considerati “prigionieri di guerra” (le stime variano da 600.00 a 800.000 uomini).

 

In seguito cambiarono status divenendo “internati militari”, ed infine, dall’estate del 1944 alla fine della guerra, “lavoratori civili”, in modo da essere sottoposti a lavori pesanti senza godere delle tutele della C.R.I. loro spettanti. La classificazione dei soldati italiani da "prigionieri" ad "internati" implicava la sottomissione dei deportati ad un regime giuridico non convenzionale secondo gli accordi di Ginevra del 1929, e gli "internati" in realtà venivano a trovarsi in una situazione di completa sottomissione al Terzo Reich. Le autorità tedesche, vedevano nella cattura di centinaia di migliaia di italiani una preziosa risorsa di manodopera sfruttabile a propria discrezione.

 

Per questo motivo ostacolarono ogni tentativo da parte della Repubblica Sociale di riportare in Italia grossi contingenti di internati. Gli internati furono così impiegati nei campi e nelle fattorie, nelle industrie belliche, nei servizi antincendio delle città bombardate, nell’industria pesante e in quella mineraria, nell’edilizia e nel settore alimentare. Le condizioni di lavoro degli IMI erano estremamente disagevoli. L’orario settimanale, nell’industria pesante ad esempio, era in media oltre le 57 ore alle quali, molto spesso, si aggiungevano anche turni lavorativi domenicali. A fronte di un intenso impegno lavorativo non corrispondeva un’alimentazione adeguata.

 

Dai racconti dei reduci si apprende che era prassi comune cercare bucce di patate e rape nelle immondizie, o cacciare piccoli animali come topi, rane e lumache per integrare le magre razioni. La vita quotidiana era scandita da numerosi controlli e ispezioni e frequenti erano le punizioni anche di carattere corporale con percosse che in alcuni casi provocavano lesioni mortali. Gli alloggi consistevano in baracche prive di servizi igienici che ospitavano brande di due o tre piani. Ad ogni internato veniva assegnato un pagliericcio e due coperte corte. La malattia era spesso una conseguenza delle dure condizioni di vita.

 

Il quaderno presenta una raccolta dei documenti relativi alla maggior parte dei 126 militari sangiorgini catturati dopo l’8 settembre 1943 e che subirono la deportazione nei campi di prigionia del Terzo Reich. Di alcuni di essi sono altresì state pubblicate alcune testimonianze dirette che dimostrano come stenti, vessazioni e abusi caratterizzassero la vita di ogni giorno durante la prigionia.

 

Per questo il quaderno vuole far conoscere alle future generazioni la storia e l’esempio di questi uomini che hanno sacrificato la loro gioventù per difendere la nostra nazione, sopportando la deportazione e la prigionia per mantenere fede al giuramento di fedeltà alla Patria, resistendo alla fame, al freddo e ai soprusi dei nazisti senza mai perdere la propria dignità di uomini.


Fotogallery


Il quaderno lo potete trovare da:

 

Punto Ufficio                   S. Giorgio di Nogaro

Dino Fabris                       S. Giorgio di Nogaro

Bar Alla Posta                  S. Giorgio di Nogaro

Foto Piccini Roberto      S. Giorgio di Nogaro

Agriturismo al Cjasal     Castions di Strada

 

Se conoscete sangiorgini che sono stati internati nei campi di concentramento e che non sono presenti nel quaderno oppure avete documenti e testimonianze, vi chiediamo di segnalarcelo.